Le Parole non dette (Gruppo 12)

“Tu prova ad avere un mondo nel cuore 

e non riesci ad esprimerlo con le parole”

Fabrizio de Andrè

Le parole di de Andrè riassumono sinteticamente un problema che affligge i bambini affetti da disturbo dello spettro autistico; la comunicazione verbale infatti è a volte uno scoglio insormontabile per i fanciulli, che devono ricorrere ad altri espedienti comunicativi. Nel Teach Communication Curriculum del 1997 sono descritte le “dimensioni della comunicazione espressiva” suddivise per categorie: le forme, le funzioni i contesti e le categorie semantiche; grazie a questi concetti risulta più semplice analizzare le barriere del bambino nei confronti della “parola”.  Nell’articolo allegato viene analizzato, proprio tramite esempi di bambini con difficoltà, come, metodi alternativi allo sviluppo comunicativo, siano serviti a “sbloccare” in un certo qual modo alcuni soggetti, da lì il titolo “Niklaas ha oramai un vocabolario di 23 foto”, la creazione appunto di un “dizionario visivo”  può essere considerato un metodo realmente applicabile, l’associazione di fotografia e necessità (che possa essere la foto di un biscotto, uno yogurt o la rappresentazione di un’emozione)  potrebbe colmare alcune lacune comunicative aiutando il soggetto stesso a progredire nell’approccio con l’altro, inoltre tutto ciò potrebbe essere utile alla costruzione di un ulteriore dizionario, una sorta di “manuale d’uso del bambino” utile per il genitore quanto per l’educatore.

Oltre alla “parola” in sé,  bisognerebbe procedere all’insegnamento della “manipolazione dell’ambiente circostante” (cosa che i bambini normodotati sviluppano sin dai primi mesi di vita) proprio grazie alla comunicazione attraverso il semplice chiedere, commentare, esprimere un’emozione, i bambini potrebbero modificare a loro piacimento il mondo che li circonda, rendendosi parte di esso, occupandone un posto, non solo da spettatori, ma da protagonisti. Ciò è applicabile non solo nell’ambito più stretto del nucleo familiare ma sopratutto nella comunità, abituando dunque il bambino a una  generalizzazione di spazi e persone, senza operare un distinguo tra genitori, fratelli o estranei, tra la casa o il parco cittadino ad esempio, implementando sempre più le sue capacità fino a colmare per quanto più possibile le sue difficoltà sociali.

http://www.fondazioneares.com/fileadmin/user_upload/articoli_on-line__Declercq_.pdf

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